Uso questo blog per pensare. Lo uso per arrabbiarmi per le cose non giuste. Lo uso per condividere il mio pensiero con chi voglia farlo. Non ho altro che abbia senso mettere in comune. Gionata

domenica 5 novembre 2017

Zaia e la memoria del Polesine


I schèi, in dialetto Veneto, sono i soldi.

I schèi sono l’unica ragione per cui il Veneto vuole ottenere maggiore indipendenza dall’Italia. Non prendiamoci in giro con questioni culturali, usi, tradizioni e costumi. Qui abbiamo un presidente di regione, Zaia, abbastanza furbo da far balenare ai suoi concittadini l’idea di non contribuire più con le loro tasse al benessere e ai bisogni di tutto il paese, ma solo al proprio. E a molti l’idea piace. Fanno un referendum, e il 60% dei Veneti dice di sì. E certo, perché no?

Perché no? Ecco perché no.

Nel 1951, a seguito dell’inondazione del Po, il Polesine allagato vide 180 mila dei suoi abitanti rimanere senza casa. Praticamente metà della popolazione. Il processo di ricostruzione e prosciugamento durò sei mesi, e alla fine, di questi sfollati, 80 mila non fecero mai più ritorno nel sud del Veneto. Preferirono rimanere nei luoghi che li avevano accolti e nei quali avevano potuto ricominciare una vita.

La notizia dell’alluvione fece il giro del mondo. Ci fu una gara di solidarietà che superò la cortina di ferro. Arrivarono aiuti dai paesi occidentali e anche dall’Unione Sovietica.

Gli aiuti internazionali ammontarono in tutto a 5 miliardi di lire dell’epoca, corrispondenti a circa 100 milioni di Euro odierni.

Se sembrano pochi, teniamo conto che si trattava di una cifra intorno all’1.3% del prodotto interno lordo dell’Italia del tempo.

Comunque furono utilizzati e, con i soldi avanzati, fu eretta una scultura a ricordo in una piazza di Rovigo, ribattezzata Piazza della Riconoscenza.

Altri tre miliardi ce li mise lo stato Italiano per ripristinare gli argini nei mesi successivi.

Lo stato italiano inviò un commissario prefettizio, Giuseppe Brusasca, che riuscì a coordinare gli sforzi di ricostruzione in una terra di grandi contrasti politici e sociali. Questo eroe della Resistenza, che durante la guerra aveva salvato diverse famiglie ebree dai rastrellamenti fascisti, riuscì a far completare la ricostruzione in sei mesi, un’opera che si riteneva avrebbe richiesto almeno due anni.

E gli sfollati? Furono accolti in tante regioni italiane. Molti si stabilirono nel triangolo tra Milano, Torino e Genova. Arrivavano senza più niente. Molti a piedi nudi, con i bambini per mano, possedevano solo quello che avevano addosso.

Molti mantennero fieramente la loro identità e la loro lingua. Conoscevo personalmente signore venete, trasferitesi ormai da oltre 40 anni in Lombardia e che parlavano ancora soltanto il loro dialetto.

Ecco perché no.

Ma davvero il Veneto di oggi ha dimenticato tutto questo? Hanno dimenticato che quando erano disperati il resto del paese li ha tirati fuori dal fango? Oggi che capita che i poveri non siamo più noi, allora basta solidarietà, guardiamo solo in casa nostra, questo il ragionamento che fanno? Sembra di si.

E domani? Forse un Veneto indipendente? Uno staterello chiuso e insignificante che i potentati economici potrebbero mangiarsi in un sol boccone. Il contrario dell’Europa Unita, ragionevolmente l’unico modo che avrà la civiltà occidentale per non essere comprata dall’economia selvaggia della Cina o dell’America.

Purtroppo dimenticare il passato prepara gli incubi del futuro.

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