Uso questo blog per pensare. Lo uso per arrabbiarmi per le cose non giuste. Lo uso per condividere il mio pensiero con chi voglia farlo. Non ho altro che abbia senso mettere in comune. Gionata

martedì 29 ottobre 2013

Lou Reed, la morte dell'angelo nero


Sulle bancarelle lungo le strade di Bonn, nel 1988 si trovava di tutto.

Bonn era ancora la capitale della Germania Federale, piccola, ordinata, ma cosmopolita e piena di giovani. Uno di questi, io, girava rovistando tra le centinaia di musicassette, dato che costavano pochissimo. Sperimentavo e scoprivo musica. In ritardo, molto spesso. Anche in questo caso. Comprai a quattro marchi un album dei Creedence Clearwater Revival, vecchio di una quindicina d’anni, e un’altro ancora più vecchio, del 1967, quando ancora non ero nato. Aveva la copertina bianca, con al centro il disegno di una banana matura. In basso a sinistra, il nome della band: The Velvet Underground & Nico. E poi la firma dell’autore della banana, che io credetti fosse anche il titolo dell’album: Andy Warhol.

Fu così che conobbi Lou Reed.

Lou in quell’album parlava soprattutto di droga. A cominciare da Heroin. Ascoltai quella canzone senza suggestioni, sapevo di cosa si trattava, anche se non per esperienza diretta. I did not walk on the wild side. Avevo visto una generazione, al mio paese, quelli che avevano una decina d’anni più di me, spazzata via dall’Ero. Avevo visto gli scoppiati sulle panchine. Riversi, forse vivi, forse no. A tanta gente non importava (l’era lì, che ‘l pareva nisün, disse Iannacci dell’uomo con le scarpe da tennis). Li avevo visti fare l’autostop con i denti rotti, avevo visto le madri piangere ai funerali. Questo per dire che non avevo dubbi su cosa fosse quella roba. Eppure Lou la cantava. Senza remore, come nudo, parlava dell’ago che entra nella vena, della pace vuota che seguiva (and all you girls with your sweet talk, you can all go take a walk) della fine che lo aspettava (be the death of me),e che però non arrivò. Heroin è un capolavoro. Lou poi parlava dello spacciatore, waiting for my man, questa figura che domina e che detta il tempo della vita del tossico (first thing you learn is that you always gotta wait, chiaro e semplice, per me è grande letteratura americana). Come poteva quel mondo essermi così estraneo mentre allo stesso tempo mi abbeveravo a quelle canzoni? La distorsione di The Black Angel Death Song (forse il miglior titolo di sempre di una canzone rock). E poi vennero White Light White Heat, Sweet Jane, sempre la droga, Lou Reed sempre più cattivo, con gli occhiali scuri, non ti guarda, Lou, sei un pezzo di merda per lui.

Poi corsi a sentirmi New York, Transformer, e gli altri suoi grandi successi da solista, sempre uguale a se stesso, libero e solo e duro, come un tavolo di legno sotto il sole. Intanto interi filoni musicali nascevano ispirati dalla breve stagione dei Velvet. Io avevo nove anni quando è esploso il punk rock, il che vuol dire che me lo sono dovuto ascoltare tutto dopo, quando la festa era finita e le radio ci passavano gli Spandau Ballet. Disse Brian Eno che il disco con la banana vendette solo 30mila copie, ma che ogni ragazzo che lo sentì fondò una band musicale, lui compreso. Possibile. The most influential album ever.

Ma io compresi chi era solo quando nel 1992 uscì il disco che lui e l’amico ritrovato John Cale registrarono (Songs For Drella) in ricordo del loro mentore, Andy Warhol.

Nella musica sempre ineffabilmente ostile, le loro parole raccontavano la loro vera storia, una lunga confessione mista a rabbia, rimorsi, e ammirazione per quello che riconoscevano come un genio. Lou Reed, per la prima e ultima volta in vita sua, commuove (Hello Andy I guess I gotta go. I hope someway, somehow, you liked this little show).

Ieri comparavo tra di loro i ritagli elettronici dei giornali online. Le foto di Lou a tutte le etá. Giovane bello e bastardo, poi cupo, scuro come un sicario. Infine un paio di foto molto recenti, con gli occhi piegati un po’ all’esterno, malinconici ma vispi, e le orecchie grandi, da vecchietto. Giá la vedeva arrivare. Da giovane l’aveva presa in giro. Adesso gli presenta il conto, ma Lou aveva giá pagato.

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