Uso questo blog per pensare. Lo uso per arrabbiarmi per le cose non giuste. Lo uso per condividere il mio pensiero con chi voglia farlo. Non ho altro che abbia senso mettere in comune. Gionata

venerdì 30 dicembre 2011

Articolo 18 - chi difende?

Ho lavorato per dieci anni come dipendente di una ditta inglese, con un normale contratto inglese di dipendente a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda la job security, ero protetto dalla legislazione inglese, che impedisce di discriminare un lavoratore in base a sesso, eta’, culto, razza, orientamento sessuale o opinioni politiche. Sacrosanto. Una specie di Articolo 18 senza giusta causa.
Infatti, ero licenziabile. Laddove l’azienda attraversasse periodi di contrazione del mercato, essa poteva riorganizzarsi scegliendo chi lasciare a casa. Oppure poteva lasciare a casa chi contravvenisse alle policies aziendali o si rendesse responsabile di negligenza grave o gettasse discredito sull’organizzazione. Abbiamo in effetti attraversato tali periodi, e in determinate circostanze l’azienda dovette licenziare. Nel farlo scelse di salvaguardare ove possibile i dipendenti con famiglia e quelli che venivano valutati migliori secondo un criterio di merito.
Questo regime ha permesso a quell’azienda, negli anni, di accompagnare gli alti e i bassi del mercato, dotandosi di volta in volta delle risorse umane necessarie. Nel fare questo, potè anche selezionare positivamente il proprio personale quando la selezione era necessaria. Il risultato fu una crescita costante dell’attivita’, con benefici per il personale e in generale dando lavoro a un crescente numero di persone.
Altrimenti, se avesse avuto paura di assumere per non farsi carico di oneri eccessivi, non sarebbe cresciuta. Sarebbe rimasta una piccola impresa come fanno tante delle nostre e, alla prima crisi, che nel settore petrolifero come in tutti gli altri arrivano regolarmente, avrebbe chiuso.
Oggi lavoro con un’azienda italiana che opera nel medesimo settore della precedente (servizi geologici nell’industria estrattiva). Anche qui ho un contratto di dipendente a tempo indeterminato.
Tuttavia, quando la mia attuale azienda ha dovuto ridimensionare l’attivita’ in Italia, per una contrazione del mercato causata da fattori esterni non controllabili, non ha potuto fare alcun discrimine di merito nel licenziare il personale. L’articolo 18 proteggeva tutti coloro che avevano un contratto a tempo indeterminato. Tra questi c’erano e ci sono tuttora alcuni degli elementi piu’ validi dell’azienda, per capacita’, conoscenze, esperienza e dedizione. Ci sono altri, invece, di cui l’azienda potrebbe fare a meno: chi non si aggiorna da anni, chi rifiuta mansioni o non si presenta al lavoro, esibendo certificati di depressione quantomeno dubbi. Chi fa causa all’azienda in modo strumentale, continuando a percepire uno stipendio, chi denigra l’azienda davanti ai clienti, creando un indubbio danno d’immagine.  
Loro sono al sicuro. In compenso, molti assunti degli ultimi tre anni, sono stati lasciati a casa. Alcuni erano bravi. Alcuni erano brillanti. Non hanno avuto una chance. Ho consigliato a chi di loro sapeva l’inglese di tentare sul mercato internazionale e qualcuno l’ha fatto. Ma di continuare a lavorare con noi non c’e’ stato verso. Il sistema era chiuso, per proteggere chi ha acquisito per sempre il diritto “al posto di lavoro”. Secondo me ci sono alcuni sani principi che l’articolo 18 dovrebbe rispettare:
-          nessuno dovrebbe essere “intoccabile”
-          un’azienda deve poter scegliere e favorire chi e’ piu’ bravo a lavorare
-          la giusta causa deve essere giusta per tutti.
La mia azienda prospera, grazie all’attivita’ internazionale, ma i benefici per il personale e i posti di lavoro in Italia aumenterebbero se non ci fosse una difesa cosi’ rigida dei dipendenti che salvaguarda i non meritevoli e chiude le porte in faccia ai giovani capaci.
Naturalmente il licenziamento ha un costo sociale ma io penso che ci siano modi per coprirlo: innanzitutto nei paesi europei dove e’ piu’ facile licenziare, e’ anche piu’ facile assumere. Il che vuole dire che perso un lavoro e’ piu’ facile che in Italia trovarne un altro. Inoltre, in tempi di crisi, una tassa patrimoniale potrebbe essere indirizzata proprio a coprire un sussidio di disoccupazione distribuito con regole chiare e trasparenti.
Non si tratta di inventare niente, basta guardare ai nostri partner europei, che prima della crisi, avevano un tasso di crescita migliore del nostro, mentre la nostra economia era gia’ in coma da anni.

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